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Il ritorno in una Genova bombardata del 1943

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Gen 25, 2022

Ciao Pirati dei Ratti!!!

Dopo mille impegni tra feste di Natale, compiti, sport etc… Abbiamo deciso di postare un ultimo racconto sulla vita durante la seconda guerra mondiale.

Testimonianza scritta dalla signora Angela Valle e che la figlia Mirta Marinari ci ha concesso di pubblicare sul nostro blog.

Siamo certi che apprezzerete questa storia esattamente come la abbiamo apprezzata noi!

Buona lettura!

Dopo quasi sette mesi di inattività, mio papà doveva per forza tornare a Genova per ricominciare in qualche modo a lavorare nella bottega sinistrata. E così tutti e tre ritornammo nella nostra città, nella casa di Via Flora, che ci avevano affittato, per poco, certi clienti della sartoria che prima aveva mia mamma. Pure questa casa aveva il tetto sinistrato dal bombardamento del 7 novembre 1942, dal quale entrava la pioggia in tutte le stanze. Inoltre, era alta più di sei metri e i tre vani da cui era composta erano ovviamente gelidi.E il freddo è sempre stato il persecutore della mia vita…sempre!In un secondo tempo papà collocò una stufa nella vasta e alta cucina, una stufa a legna e carbone, ma difficilmente si trovava sia la legna che il carbone…I padroni di questa palazzina si chiamavano De Micheli ed erano (non so se gli eredi lo siano ancora), i proprietari della Farmacia Sociale in Piazza Tommaseo. La loro villona, in quel periodo abbandonata per sfollare (marito, moglie e due bambini), si trovava in fondo al giardino, dalla parte opposta alla nostra casetta, ed era una dimora da fiaba, con una grande scalinata semicurva, un bagno enorme, saloni lussuosi e la sala da musica. Mi sembrava un sogno che tutta quella meraviglia non fosse stata ancora bombardata!

Non sapevo che presto la mia famiglia sarebbe andata a dormire in una camera di quella villa da sogno con funzione di controllo ed anche per levarsi da sotto la pioggia, che cadeva in casa sempre più copiosa.

Avevo un po’ dimenticato la guerra, portatrice di rovine e morte sempre e comunque, ma ora queste rovine tornavano a pararsi davanti a me con palazzi, chiese, monumenti e teatri distrutti e mi si spezzava il cuore. Com’era ridotta la mia città! “Genova, la Superba”! Genova, che è poi stata proclamata “Medaglia d’oro della Resistenza”, la mia Genova della quale si è sempre parlato e si parla così poco!

Tutto ricominciò come prima…con una piccola novità. Papà aveva comprato una piccola radio usata, con la quale riusciva a captare “Radio Londra”, per sentire la voce dell’allora nemico. Mi sembra ancora di vederlo, seduto vicinissimo alla radio e curvo su di essa, con una copertina sulla testa che copriva anche la radio, affinchè nessuno potesse udire dall’esterno che lì, dentro quella casa, si compiva il reato di ascoltare radio Londra.
Quanta ansia avevamo noi tre mentre ascoltavamo quel “TUM TUM TUM TUM…qui Radio Londra, trasmettiamo alcuni messaggi speciali….ecc”
E il pericolo per noi era maggiore rispetto a chi non viveva in Zona Militare! Radio Londra ci diceva sempre che stavano venendo a liberarci ma io, nella mia mente di ragazzina ignorante degli Anni Quaranta, mi chiedevo: ma liberarci da che cosa? Caso mai avrebbero dovuto dirci che avrebbero fatto finire la guerra perché io, che non sapevo e non so assolutamente niente di politica, mi domandavo perchè venissero a liberare una nazione che loro stessi avevano reso un enorme cumulo di macerie con relativi morti e feriti. Io personalmente li vedevo come quelli che ci avevano distrutto la casa di Salita della Misericordia e anche, parzialmente, quella dove ci eravamo sistemati. Papà mi diceva che era troppo difficile spiegarmelo. Semplicemente e in una parola, questa era “la guerra”. E tutto finì lì.

Ma torniamo ai miei ricordi di quella primavera del 1943 quando tutto riprese come prima del nostro sfollamento: infatti rividi identiche tutte le saracinesche panciute per effetto dello spostamento d’aria causato dallo scoppio delle bombe dirompenti, saracinesche che noi chiamavamo “in stato interessante” perché mai, a quei tempi, si sarebbe detto “incinte”!
Ricominciai ad abituarmi (si fa per dire) ai continui preallarmi e allarmi col suono lacerante delle sirene, ai bombardamenti e…alla fame, anche se i miei genitori riuscivano ogni tanto a rifornirsi di generi alimentari ricorrendo alla cosiddetta “borsa nera”.
E a proposito di fame, una mattina di quella primavera del ’43, mentre aiutavo la mamma nei lavori di casa, vidi che stava sfilando i pezzi più duri dei baccelli dei fagioli e delle fave e li buttava a cuocere con l’altra verdura del minestrone. Io la pregai di non farlo ma lei mi rispose che bisognava pur mangiare e che quelle bucce non ci avrebbero certo fatto male, anzi…


E, sempre a proposito di cibo, una mattina ci svegliò una voce che avvertiva che il pane della “tessera” quel giorno era bianco…Ci precipitammo tutti dal fornaio per non rimanerne privi ed infatti constatammo che il pane era veramente bianco, bellissimi sfilatini bianchi che ci invitavano a mangiarli. Ma l’illusione durò poco, perché quel pane era molto duro e sabbioso e il giorno dopo si venne a sapere che aveva dentro la polvere di marmo!
Ancora una curiosità sul cibo del tempo di guerra. La “tessera” ci passava pochissimo sale e così papà, al ritorno dal lavoro in negozio, si recava al mare a riempire qualche fiasco con l’acqua salata. Poi, quando accendevamo la stufa, ci mettevamo sopra un tegame con l’acqua marina e, a turno, ciascuno di noi tre mescolava ininterrottamente e a lungo, finchè ne veniva fuori un pugnetto di sale grosso. E questo compito era quasi sempre il mio: se non altro mi ha insegnato ad avere pazienza, che mi è tanto servita in seguito, nelle avversità che la vita mi ha “elargito”.
D’altra parte non c’era alternativa perché, a quei tempi, non ci si poteva proclamare “profughi” poiché, anche se ci avessero lasciato emigrare per scappare dalla guerra, nessun paese avrebbe voluto accoglierci.


Ma, tornando alla mia mini storia e al 1943, un giorno di primavera si presentarono a mio papà due ufficiali tedeschi, esibendogli dei documenti e aggiungendo che la palazzina dei Signori De Micheli era da quel momento requisita per ordine della Wermacht.
Dai primi di novembre 1943 ai primi del 1946 la casa fu sempre requisita: tedeschi, inglesi, australiani, americani, sudafricani, soldati di colore, militari italiani…tutti sono stati dove abitava la mia famiglia che però, bisogna dire, aveva il “torto” di abitare nella Zona Militare, che andava dall’inizio di Via Flora e proseguiva fino in cima a Via Dodecaneso.

Fortunatamente, pur essendo ventenne e molto carina, ho vissuto per più di due anni in una caserma brulicante di militari di tutte le razze, senza mai averne brutte conseguenze e senza mai essere costretta ad “andare” con nessuno!

Eppure più avanti, alla fine della guerra, arrivò da noi un gruppo di Partigiani…volevano portarmi via per rasarmi, come facevano con tutte le ragazze che erano state con i militari tedeschi. Ma io non ero stata mai con i militari tedeschi! Neanche a passeggio. Nessuno mi aveva mai visto con loro…né con loro né con militari di altre nazionalità, che subentrarono ai Tedeschi in casa nostra! Semplicemente erano i Tedeschi che avevano requisito e occupato la casa dove abitavo. Glielo abbiamo spiegato e rispiegato ai Partigiani incaponiti, tanto che alla fine dissero che si sarebbero informati meglio e che sarebbero eventualmente ritornati. I miei genitori mi nascosero per una decina di giorni in casa di amici, certi Signori Peri che possedevano una importante pellicceria, e lì ho vissuto come prigioniera, cercando di aiutare chi mi ospitava come potevo, nei piccoli e facili lavoretti di pellicceria.
E così, pur essendo una ragazzina pura e pulita, sempre appiccicata giorno e notte ai genitori, mi è toccato subire anche questa umiliazione. Però almeno non fui rasata, “punizione” che non meritavo essendo assolutamente innocente!


Nella Zona Militare di Albaro vivevano soltanto quattro famiglie, perché gli altri erano tutti sfollati: la famiglia di Erminia, quella di Palmira, quella di Bacci e la nostra, ma queste abitavano in appartamenti, che quindi non furono requisiti dalle Forze Amate.
Un grande cartello avvertiva del pericolo, ma noi non sapevamo dove altro andare.
La moglie di Bacci era incinta ma, nonostante tutte le corse in galleria e i continui spaventi, è poi nato un bel “Giuseppino”!
Era la vita che aveva trionfato sulla morte.

4 commenti su “Il ritorno in una Genova bombardata del 1943”
  1. Ho lavorato per 40 anni nella farmacia Sociale,dai De Micheli,persone stupende,hanno sempre trattato i loro dipendenti con grande rispetto…li porterò sempre nel mio cuore! E …grazie per questa bellissima storia,dovrebbero leggerla i giovani di oggi!

  2. Grazie! Che ricordi! Nel 1943 io avevo 7 anni. Abitavo, con la mamma, due sorelle e un fratello maggiori, in una casa popolare in via Monte Zovetto. Nel 1940 dopo i primi bombadamenti, l’urlo delle sirene, i boati dellle bombe e le conseguenti corse in rifugio, dove si recitavano preghiere e rosari, mio padre si procurò un camioncino e ci portò lontano da tutto quel trambusto, ritornando poi al suo posto di meccanico all’UITE. Ci siamo spostati tra Voghera e Dorno, frequentando l’asilo, e soprattutto Vinchio d’Asti e Mombercelli dove ho vissuto da bambino scombussolato le vicende della lotta partigiana frequentando le prime due classi elementari. E’ stata una vita da “albero degli zoccoli”! Siamo ritornati a Genova nel 1946 trovando il palazzo intatto, mentre alcuni altri erano stati colpiti; fortunatamente il nostro appartamento era intatto, ricordo le finestre protette da assi, e non era stato occupato dai “sinistrati”. Qui ho frequentato le ultime tre classi elementari. Quando accompagnavo la mamma ai mercati rionali mi aggiravo curioso e spaventato tra le macerie del centro. Mi incuriosivano in particolare i soldati Americani (soprattutto quelli di pelle nera) di un centro di riparazione veicoli sistemato nei pressi di casa: erano grandi e grossi e molto generosi nel distribuire a noi bambini grandi sorrisi e, novità assoluta, cioccolato con parte del loro rancio consistente in scatolette contenenti cibi sino a quel momento impensati!

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